Marco Grilli
Massimo Zavoli sin dalle sue prime creazioni artistiche ha fortemente delineato il suo modus operandi, definendo l’arte come la finestra mentis, capace di dare libero sfogo all’immaginazione umana, arrivando a plasmare la materia secondo il proprio volere.
La sua versatilità lo ha portato, nel corso del tempo, a sperimentare le più diverse forme espressive: da abile intagliatore del legno ha saputo tramutare un materiale così naturale e alla portata di tutti in una vera e propria opera d’arte, capace di far emozionare ogni essere umano oltre al suo stesso creatore.
Anche la tela non riesce a resistergli: i colori e le forme si intrecciano e si amalgamano, fondendosi in una vera e propria danza di emozioni e sensazioni: l’innovazione si presta anche alla riproduzione dove il nostro riesce a riproporre con fedeltà certosina simboli talvolta dimenticati, talvolta mai conosciuti.
Ma questi sono solo alcune delle sue grandi capacità: è, infatti, il processo dell’incisione che ha reso importante l’operato artistico del Maestro Zavoli che grazie all’incontro con il torchio originale di Aurelio De Felice, ha dato libero sfogo alla produzione di acqueforti e acquetinte.
Con solenne maestria e delicatezza del tratto, vigoroso e preciso, la lastra viene incisa e l’opera è pronta per essere stampata: ed ecco che la storia del nostro stesso passato si incontra con il presente quando il torchio del Maestro De Felice si incontra con la lastra del Maestro Zavoli e l’arte continua a dimostrarsi il fil-rouge che taglia trasversalmente intere generazioni arrivando sino a noi.
Ogni sua mostra ci permette di apprenderne appieno la profondità d’animo di cui egli è dotato: la passione, la dedizione ma soprattutto l’amore per l’arte e per la creazione artistica gli permettono di essere immediato nella trasmissione del messaggio, equilibrato nell’uso del linguaggio artistico, giusto nel rispetto del passato, leale nei confronti del futuro.
Lunga vita all’arte, lunga vita alla creazione artistica del Maestro Massimo Zavoli.
Mostra collettiva di pittura Assisi maggio 2016
Dott.ssa Claudia Sensi
Massimo Zavoli: tra il respiro dell’anima e la sapienza del fare della tecnica
Paolo Cicchini Maurella Eleonori
Nelle acqueforti di Massimo Zavoli mirabilmente si fondono tecnica e poesia.
L’inchiostro diventa colore – sfumato, il nero, in tutte le gamme del grigio – e i “bianchi” vivi di sonore ed inattese presenze, come uscite dall’anima di carta. Vicoli antichi, sospesi in ardite architetture tra strutture di pietra, all’ombra del campanile, paiono interrompersi ad un tratto, lasciando solo intuire l’orizzonte infinito oltre l’agglomerato di case poggiate fra loro come i palchi di un teatro gigantesco. La poesia del frammento, delle “povere cose” aggredite d’incuria, è al centro dell’opera di Zavoli: palizzate di legno innalzate a difesa di luoghi che non dovevano essere violati, si rivelano irrise dalla caducità del tempo… il filo spinato aperto in larghi varchi ed un barattolo in cima a guardare, ultima sentinella, il deserto di niente riflesso nei suoi occhi di latta.
Francesco Pullia
Massimo Zavoli ha l’onere e l’onore di avere ricevuto in dono il torchio da cui Aurelio de Felice (1915 – 1996), artista di punta della cosiddetta “Scuola romana”, uno degli autori più interessanti della scultura del Novecento, ricavò vibranti acqueforti (cariatidi, maternità, autoritratti, nudi femminili, volti di Cristo) non senza spingersi a sperimentare nuove tecniche. Massimo ne è diventato proprietario nel 2009 grazie alla generosità del nipote dell’artista di Torre Orsina, Pericle (in omaggio a Fazzini nel cui studio, nella capitale, Aurelio aveva lavorato per un po’ di tempo). “Mi sono avvicinato”, racconta, “al mondo dell’acquaforte quando ero studente all’Istituto Statale d’Arte di Terni. De Felice, allora direttore della scuola, aveva bisogno di un aiuto e nel suo studio ho avuto modo di immergermi nel suo mondo, restandone profondamente conquistato”. Realizzato dalla ditta Paolini di Urbino, dotato di un nuovo feltro rotante, il torchio è tornato con Massimo a nuova vita, anche per merito di Roberto Bellucci cui si deve il perfezionamento dell’approccio, con la scelta accurata di lastre di rame crudo, la meticolosa preparazione dell’inchiostro e la non meno puntigliosa stesura sulle trame incise. Con lo scorrere del tempo, passione, impegno, inventiva, perizia, hanno concorso a rendere Massimo un incisore di notevole raffinatezza, con un’impronta ben riconoscibile. Le opere presentate in questa mostra lo attestano in modo inequivocabile. Ed ecco, quindi, non solo raffigurazioni di animali, di paesaggi, di volti, di nature tutt’altro che morte, anzi ravvivate dalla sensibilità dell’artista, ma virtuosismi geometrici e slanci verso esiti imprevedibili, tutt’altro che realistici. Non è, di certo, facile lavorare con il torchio, strumento (da intendersi in senso plurivalente, specialmente se, come nel caso di Massimo, si è votati ad una musicalità di fondo) oggi desueto, se non addirittura marginalizzato dalla diffusione di tecniche scaturite dall’informatica più avanzata. Utilizzarlo comporta una precisa scelta di fondo, artistica e insieme emotiva. Sì, emotiva, perché Massimo Zavoli avverte nel profondo un sicuro debito di riconoscenza nei confronti di De Felice (e Bellucci). Ciò avvalora ulteriormente e caratterizza in modo preponderante il suo discorso poetico elevandolo qualitativamente. Si raffrontino i primi lavori (già di buona levatura) con quelli più recenti per rendersene conto. La rete dei segni marcata da Zavoli non è altro che trama del cuore, espressione di intima distillazione e d’incrollabile perseveranza nell’ascolto interiore.